articolo Cavallo Magazine di Mariangela Cecchi

Arriviamo a Budrio, alle porte di Bologna, entrando nell'azienda agricola Marchesi dove, dopo il terremoto che ha colpito l'Emilia nel 2012, si è trasferito il nucleo operativo dell'associazione “Un cavallo per amico” che, da quattro anni, lavora con bambini affetti da disabilità medio lievi attraverso il cavallo, creando contesti dove, tra gioco cavalli e stimoli, possano emergere nei piccoli bambini e ragazzini disabili sia il desiderio di mettersi in relazione, all'inizio con il cavallo e poi con altri bimbi, sia la voglia di capire in che modo questa ambita relazione possa essere mantenuta. «La metodologia che seguiamo», spiega la fondatrice di “Un cavallo per amico”, il medico veterinario Barbara Basciani, «si aggancia a quella di Cavalgiocare, dove il gioco è unito a una parte di motricità a terra e il cui obiettivo non è andare a cavallo, ma stare con il cavallo, il quale è, qui, un mediatore e al contempo un compagno di gioco».

LE BASI DELLA RELAZIONE
«I bambini con cui lavoriamo», continua Basciani, il cui titolo in questo contesto è quello di Operatore di attività assistita con asini e cavalli, «sono tutti affetti da diversi tipi di disabilità e hanno il tratto comune di avere una visione molto egocentrica. Qui, trovandosi davanti al desiderio di avere un rapporto con il cavallo, imparano le basi di ogni relazione con l'altro, tra cui ad esempio diventare consapevoli che a ogni azione corrisponde una re-azione di cui devono tenere conto, dal punto in cui questa va ad allontanare il soggetto con cui loro, invece, vogliono stare, che sia prima il cavallo poi l'amico e compagno di gioco». Vediamo infatti due bambini in campo per cui utilizzeremo solo le iniziali, D. T. ed E. C. , come ascoltano ciò che gli viene detto da Barbara e ancor prima dal cavallo, come cambiano atteggiamento se questo si allontana, ad esempio perché lo accarezzano con troppa veemenza sul muso. Ognuno di loro, come ognuno di noi e come i cavalli, cerca infatti il piacere che dà la relazione con l'altro oltre la propria patologia, relazione che deve sempre essere scelta da entrambi e nella libertà (anche e sempre del cavallo) di restare o andare.

OBIETTIVO? INCLUSIONE
Barbara Basciani, mentre i suoi due allievi sperimentano e giocano nell'ex fienile adibito a maneggio coperto in compagnia della pony Matilde e sotto lo sguardo suo e di un'aiutante, ci racconta come funziona il lavoro. «La cosa fondamentale è la strutturazione del contesto», spiega, mentre anche noi osserviamo il setting: i giochi sparsi in arena, birilli, cerchi, palle, ma anche scalette su cui arrampicarsi e fogli attaccati ai muri su cui disegnare. «Il contesto, quindi, deve avere elementi che possano essere uno spunto dal quale emergano le capacità residue dei bambini. Mi spiego meglio», continua, «l'obiettivo non è per noi lavorare sulla patologia, ma bensì sulle risorse intrinseche della persona, quelle che sottendono. Dal momento in cui io mi tolgo come supporto e lascio che questo contesto lavori, emergono delle cose che in altri luoghi non vengono fuori, perché qui i bambini si trovano nella necessità di trovare dentro di sé una risorsa. E tutti, davvero tutti degli oltre 30 iscritti a “Un cavallo per amico”, in un modo o nell'altro hanno risorse da fare uscire e coltivare». Ma cosa ci vuole per fare emergere queste capacità residue? «Tempo, calma», dice Barbara sorridendo. «Non devono esserci paletti predefiniti. Il nostro compito, come dicevo, è creare il giusto contesto, quindi lavorare sulle potenzialità del bambino che emergono spontaneamente, dandogli poi difficoltà progressive per far sì che si sviluppino. Un aspetto che ci differenzia da altre realtà che lavorano nel nostro ambito è infatti il contesto aperto, dove il metodo di lavoro c'è ma è senza troppi paletti e pregno di molta, molta osservazione. L'obiettivo finale è l'inclusione, cioè che il bambino, un domani adulto, possa trovare dentro di sé le risorse per mettersi in relazione con gli altri e avere così una qualità di vita migliore possibile per i suoi mezzi». Per questo il lavoro, qui, non è mai individuale ma sempre a coppia o in piccoli gruppi. L'attività con il singolo, infatti, non esiste se non nel primo periodo in cui avviene una nuova impostazione del comportamento del bambino che poi, appena ritenuto in grado di mettersi in relazione, inizia a lavorare-giocare con il cavallo e poi con un altro o altri suoi coetanei.

I “NO” DEL CAVALLO
Mentre osserviamo come uno dei due bambini interagisce con Matilde, la quale come ogni cavallo farebbe se sta bene resta altrimenti va, Barbara Basciani rimane “in regia” guidando con delicatezza ma incisività da fuori i due ragazzini. «Vede», dice, «l'interazione tra loro è sempre libera, ma quando il bambino ha un atteggiamento scorretto verso il cavallo, questo viene bloccato dalla reazione dell'animale che lui accetta», dice il medico veterinario. Ad esempio vediamo una carezza sul muso della pony che diventa poi una stretta troppo forte: il cavallo alza la testa e si sposta, il bambino resta allora senza colui con cui vuole stare, e comprende così che stringere troppo forte non va bene perché il cavallo... glielo ha detto. «Se lo dico io», interviene Barbara, «molto spesso non lo fanno o addirittura fanno l'opposto. Se invece lo “dice il cavallo” o l'amico di gioco... lo accettano. Questo anche perché c'è una motivazione profonda sia dei bambini, anche quelli affetti da patologie volte all'isolamento, a non stare soli ma insieme, agli altri». L'Associazione, che a oggi conta un po' meno di quaranta iscritti, lavora principalmente con bambini dai 4 agli 11 anni affetti da diversi tipi di patologie. «Questa è la fascia di età più sensibile ai miglioramenti che ci possono essere», continua la fondatrice di “Un cavallo per amico”.

BOX - LA NASCITA DELL'ASSOCIAZIONE E IL PONY MATILDE
L'Associazione “Un cavallo per amico” viene alla luce come progetto di inclusione nel 2010 a Minerbio, grazie alla volontà del medico veterinario Barbara Basciani, dopo un periodo di lavoro presso l' Aiasport Onlus, un'associazione sportiva dilettantistica che propone attività equestri per persone disabili, e l'incontro con un pony abbandonato, anzi una pony ribattezzata poi Matilde. «Quando ho visto questa cavallina, essendo anche un medico veterinario, e intuendo la brutta fine verso al quale stava andando non ce l'ho fatta a lasciarla lì e l'ho presa con me», racconta Barbara, «consapevole del fatto che, a causa dei traumi che aveva auto, non sarebbe più stata utilizzabile per nulla se non forse lo stare con i bambini. Allora ho iniziato le prime prove, mettendola a contatto con loro e vedevo come lei stessa piano piano “si riabilitava”, diventando più disponibile e tranquilla. Così ho iniziato prima con lei, poi con altri due cavalli, a Minerbio con un buon numero di bambini per un'associazione appena partita: erano venti. Tutto è andato a gonfie vele fino al terremoto del 2012 che ha colpito la nostra regione e anche la zona in cui era la nostra scuderia». L'Associazione, che era in affitto presso una struttura dichiarata inagibile dalla Protezione Civile dopo la forte scossa, si è dovuta spostare post ordinanza di evacuazione del sindaco, arrivando così presso l'azienda agricola Marchesi, a Budrio (Bologna), dove attualmente svolge le proprie attività. «Abbiamo ricavato il maneggio coperto dall'ex fienile dove venivano tenuti i balloni di fieno, ma non abbiamo più una club house né un'aula dove poter lavorare dopo la parte in campo con i cavalli», spiega Barbara. Ora c'è sono una roulotte e una tenda, donate dalla Protezione Civile dopo il terremoto, nelle quali Barbara e i suoi bambini possono cambiarsi. Ma nessun luogo per poter disegnare, parte didattica del lavoro molto importante per la rielaborazione del vissuto, nonostante le ripetute richieste di aiuto alle istituzioni. «Mi hanno consigliato di chiedere un aiuto a privati, per trovare una sistemazione più idonea alle nostre attività, che ci permetta di lavorare a tutto tondo e non di essere mozzi, come lo siamo ora, senza una zona al chiuso essenziale per una certa parte di lavoro. Ma al momento nulla, ci sosteniamo unicamente con le quote di adesione, quelle di iscrizione alle attività e con le donazioni, se arrivano. Certo è che di questo non ci vivi, soprattutto in queste condizioni...». Guardare però ora Matilde scegliere liberamente di stare vicina a uno dei due bimbi, senza notare gesti bruschi o toni di voce alti, quando potrebbe fare quello che vuole è un'emozione. Un dono, per tutti, grande.

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